È successo a tutti: quel momento in cui si desidera versare un po' di quella deliziosa salsa rossa nel proprio piatto e si batte ripetutamente sulla bottiglia, ma per parecchio tempo non succede nulla; fino a che, di colpo, metà del contenuto della bottiglia esce tutto insieme e troppo velocemente. Si tratta, appunto, dell'"effetto ketchup".
Negli ultimi anni da più parti si è spesso paragonata la sorprendente assenza di inflazione con il fenomeno sopra descritto, anche se, nonostante i ripetuti colpi alla bottiglia, in molti paesi, di inflazione non ne è uscita molta. Ora però si comincia a vedere un po' di ketchup nel collo della bottiglia, soprattutto negli Stati Uniti. Dall'inizio del 2018, il tasso di inflazione statunitense si sta avvicinando gradualmente al 3% (cfr. grafico 1). Anche il tasso core, più importante per la banca centrale, si è decisamente allontanato dalla soglia del 2% e si attesta ora al 2,4%. Nell'Eurozona, invece, finora è accaduto ben poco (cfr. grafico 2). Il tasso di fondo è di poco superiore all'1% e solo l'inflazione complessiva è salita al di sopra del 2%.
Che cosa ci riserva il futuro? Durante un recente discorso, il presidente della BCE, Mario Draghi, ha parlato di netto aumento dell'inflazione. Ha forse accesso a dati a noi non noti? Ma anche numerosi parametri indicano che il rischio di inflazione è decisamente aumentato. Il forte aumento del prezzo del greggio, attualmente superiore di oltre il 60% ai livelli dello scorso anno, farà se non altro salire l'inflazione. Il grafico 3 mostra il tasso d'inflazione dei paesi dell'OCSE e il tasso di variazione annua del prezzo del greggio (divisi per 10 per maggiore chiarezza). Si vede chiaramente che la direzione dei due parametri è fortemente correlata. L'inflazione del prezzo del greggio naturalmente non si traduce in livelli identici di inflazione dei prezzi al consumo. Il grafico 4 mostra la composizione del tasso d'inflazione nell'Eurozona. Il prezzo del greggio inciderà indirettamente sulle componenti abitazioni e trasporti. Entrambe queste componenti, che rappresentano oltre il 30% del tasso d'inflazione, sono nettamente salite. Il solo prezzo di benzina e gasolio, che rientra nel calcolo del CPI, mostra attualmente un tasso di crescita del 13% (cfr. grafico 5).
Ma il prezzo del greggio non è l'unico elemento che favorisce l'inflazione. Poiché ci troviamo nella fase di crescita economica più lunga nella storia del dopoguerra, in particolare per quanto riguarda gli Stati Uniti, non sorprende che il tasso di disoccupazione si sia abbassato ai minimi degli ultimi 50 anni (cfr. grafico 6). Anche le richieste iniziali e quelle continuative di sussidio di disoccupazione, più importanti per gli statistici, sono scese ai minimi di lungo periodo (cfr. grafico 7). Le pressioni sui salari dovute a questi sviluppi hanno già in parte sorpreso gli stessi mercati. Come risulta dal grafico 8, negli Stati Uniti i salari nominali sono già cresciuti di più del 3%. In mancanza di dati europei esaminiamo le cifre relative alla Germania, le quali indicano che, malgrado livelli record di occupazione, la crescita dei salari si attesta a un mero 2,5%. Con il proseguire dell'espansione, le pressioni sui salari dovrebbero aumentare, facendo salire anche l'inflazione di fondo dei rispettivi prezzi al consumo.
Un ulteriore fattore inflazionistico è costituito dal crescente utilizzo delle capacità produttive nelle nazioni industrializzate (cfr. grafico 9). Fatta eccezione per la Grecia, tutti gli altri Stati industrializzati sono tornati ai livelli precedenti la crisi dei mercati finanziari. Nell'era della globalizzazione, un elevato impiego delle capacità produttive non esercita un impatto necessariamente inflazionistico, ma non genera neanche pressioni deflazionistiche.
Non bisogna infine dimenticare la cosiddetta guerra commerciale in atto tra Cina e Stati Uniti. L'effetto immediato a breve termine è un aumento dei prezzi delle merci importate, che in molti casi determinerà anche il rincaro dei beni di consumo. A medio termine e più indirettamente, si osserveranno effetti di sostituzione e/o una riduzione della domanda, e dunque un possibile indebolimento della crescita economica.
Il tasso d'inflazione futuro (forward inflation rate) implicito nei mercati su entrambe le sponde dell'Atlantico, importante per le banche centrali, è a volte superiore e a volte inferiore al 2%, ma in ogni caso molto contenuto (cfr. grafico 10). Il futuro potrebbe riservarci grosse sorprese. Se tutti i fattori sopra descritti eserciteranno un impatto sull'inflazione, l'orientamento della BCE in particolare potrebbe presto risultare obsoleto, visto che i comunicati della banca centrale europea hanno finora indicato che il primo aumento dei tassi avverrà nell'estate del 2019. In tal caso il rialzo potrebbe giungere con un ritardo di parecchi mesi, comportando un netto superamento della soglia del 2% fissata per l'inflazione.
Se ciò avvenisse, i rendimenti in Europa registrerebbero un forte aumento. Come si osserva al momento negli Stati Uniti, l'accelerazione dei tassi d'inflazione non sembra indurre la Fed a effettuare rialzi più rapidi e significativi dei tassi d'interesse. Attualmente si prevede un aumento dei tassi dell'1%, suddiviso in quattro interventi di 25 punti base effettuati a cadenza trimestrale.
Se dovesse tuttavia verificarsi il suddetto effetto ketchup e l'inflazione esibisse una dinamica di crescita del tutto diversa, cosa assolutamente possibile nell'attuale contesto, i prossimi 6-12 mesi sui mercati obbligazionari saranno molto interessanti.

Grafico 1: inflazione complessiva e di fondo negli Stati Uniti

Grafico 2: inflazione complessiva e di fondo nell'Eurozona

Grafico 3: tasso d'inflazione degli Stati OCSE e variazione percentuale annua del prezzo del greggio divisi per 10

Grafico 4: composizione dei prezzi al consumo nell'Eurozona

Grafico 5: componente del prezzo della benzina e del gasolio nel CPI dell'Eurozona

Grafico 6: tasso di disoccupazione statunitense

Grafico 7: richieste iniziali e continuative di assicurazione contro la disoccupazione

Grafico 8: crescita dei salari nominali

Grafico 9: utilizzo delle capacità produttive

Grafico 10: tassi d'inflazione forward a 5 anni